Se proprio finirò finirò come il nonno
La Pro a Perugia ha perso di misura nel risultato finale ma sul campo è stata una specie di agonia.
Il bello delle città piccole (per dimensioni) è che ci si sente proprio una grande famiglia, ci si vuol bene tutti, dai. Il brutto è che non puoi mai sfiatare la valvola della pentola a pressione, decomprimere le naturali tensioni umane e dire – o scrivere – quel che pensi – che subito subito non ti fanno più amico. La Pro di oggi, sconfitta 3 a 2 a Perugia, è l’emblema della piccola città o della città piccola, decidete voi che ruolo dare all’aggettivo. Che ce ne sarebbe da sfiatare su ruoli, capacità, stato di forma e posizione dei calciatori che han giocato a Perugia per la Pro. La piccola città ( o la città piccola ) rimane uguale al resto dell’Italia, nella salute e nella malattia, ovvero nel successi e nelle sconfitte della propria squadra di calcio, per chi sia eventualmente interessato. La Pro a Perugia ha perso di misura nel risultato finale ma sul campo è stata una specie di agonia. E va bene la reazione finale ma qui altro che la respirazione bocca a bocca, tra poco ci vuole una seduta spiritica. Questa squadra costruita d’estate più per necessità che per vezzo stringendo i cordoni di una borsa piccola ma originale e non taroccata, nella campagna e d’inverno ha raccolto quei frutti che – alla fine del mercato di martedì o venerdì – ti tiran dietro a costo contenuto, un poco ammaccati o ancora acerbi senza grandi prospettive di maturazione. Certo, riuscire a salvarsi (ne resto convinto, nduc) e dimostrare che puoi, alla faccia degli scialacquoni, salvarti e tenere il bilancio a posto è una gran cosa. Senza dubbio andare a confermare professionisti non esenti da critiche nelle precedenti stagioni in B, o scritturare giocatori dal doveroso riscatto sportivo e danzanti sul filo del confine tra il reale valore e la concreta fuffa è stata una scommessa. Soprattutto operando con una conoscenza che – parrebbe a torto – risicata dell’amplissimo mondo dei calciatori in cerca d’autore. Preparazione in discussione, allenatore in discussione, diesse in discussione, tifosi in discussione, Società salmo laico (Grazie, Grazie, Grazie), sabato con la Virtus Lanciano è l’ennesima operazione per rianimare una squadra che da quando ha avviato il Girone di Ritorno ne ha azzeccate poche giuste. Le persone non cambiano idea, resteranno gli inguaribili ottimisti, gli arrabbiati e i rassegnati sul futuro della Pro in questo Campionato di B. Il cambio di guida tecnica – questo pomeriggio dopo la partita mi sono assopito ed ho sognato Gigi Cagni ma si è trattato senz’altro di un errore- darebbe una scossa ad uno spogliatoio che non avrebbe ragione di essere spaccato o rassegnato ma determinato a lottare. Che senso ha oggi parlare ancora di disposizione tattica quando ti ritrovi incredibilmente pulcini pronti a farsi adottare da altre chiocce (ovvero pronti ad altri ingaggi in B o Lega Pro il prossimo anno) ? Questa squadra ora evidenzia limiti caratteriali che non so quanto Ronaldo potrà mascherare da qui alla fine, gli altri sembrano tutti più forti e forse lo sono ma se proprio dobbiamo morire proviamo anzi provate a farlo come hanno fatto quelli che Vi hanno preceduto, ovvero come i vostri padri sportivi o i vostri (bis)nonni (se finirò finirò come i’ babbo, disse Vitellozzo in uno dei miei film preferiti e pluricitato) e se non sapete chi sono, cari tutti giocatori, tecnici ed affini di questa stagione, andate a leggervi uno dei sacri e laici testi sulle bianche casacche – ne trovate a Vercelli neh – per capirne il vero significato. Lottare, lottare fino all’ultimo, anche se avete un’altra indole, anche se non siete tanto bravi, pur se potete giocare – da professionisti s’intende – anche senza l’appoggio dei tifosi. In ogni caso bisogna reagire. Avrei voluto citare “Quella sporca dozzina” per dare un senso epico all’impresa della salvezza ma mi venivano in mente solo “Ginger e Fred” o “Il Viale del Tramonto“, e così ho optato alla fine per una miniera ancora ben attiva di riferimenti, Forza Pro.
Paolo d’Abramo